Gian Marco Melis Panzironi a soli 22 anni coltiva un sogno poco comune ma che rappresenta un genere artistico che ha reso grande il nostro Paese, la poesia. L’Italia si è sempre distinta nel mondo per quel patrimonio artistico e culturale che nel corso dei secoli è stato realizzato da straordinari poeti, pittori, scultori e musicisti.
Ci troviamo in un’epoca nella quale l’unico scopo sembrerebbe quello del raggiungimento della ricchezza economica, la nostra società appare caotica, superficiale, estemporanea e lontana da quegli antichi valori determinati dalla spinta emotiva, dalla tensione morale e quell’indispensabile spirito di coesione; eppure sempre più spesso si individuano dei talenti emergenti nel campo delle arti.
Abbiamo rivolto qualche domanda a Gian Marco Melis Panzironi, laureando in lettere, appassionato di musica, musicista e compositore, sogna di fare il poeta e lo scrittore, un sogno che in realtà si sta trasformando in un progetto ambizioso ma concreto; “Rx torace ed altri approfondimenti” è la sua prima raccolta di poesia pubblicata con Eretica edizioni e distribuita da Mondadori, un successo di pubblico e critica.
Cosa ti ha portato a scrivere il primo libro di poesie?
La necessità è nata da sentori fisici, una necessità di esprimere la mia più profonda sfera emozionale in modo diretto, quasi bestiale. Del resto tra noi e gli animali non ci sono differenze se escludiamo la razionalità. Una condizione mentale che nasce dall’oppressione sociale in epoca pandemica e successivamente si sviluppa attraverso un’ispirazione aristotelica; Aristotele diceva che l’essere umano è un animale sociale per natura e il nostro istinto non deve essere trascurato.
Con gli strumenti informatici si tende a leggere e scrivere molto poco, così giovane sei riuscito tra le tue amicizie a trovare gradimento e condivisione di questa tua passione?
Si, ho trovato delle persone amiche intorno a me che definirei analogiche più che digitali, loro non hanno sposato la spietata tendenza informatica che ti allontana dai rapporti umani, io stesso tendo a non farmi travolgere da questo flusso digitale che incombe prepotente nella nostra società. Ho notato una cosa positiva anche tra quei giovani incastonati perfettamente nell’attuale periodo storico, quasi tutti sentono l’esigenza di vivere in prima persona esperienze apparentemente anacronistiche.
C’è un evidente necessità di fermarsi e scendere dalla superficie ed entrare nel profondo delle cose. La poesia è il genere letterario che si addice di più a questa introspezione.
La tua famiglia ti ha incoraggiato in questa scelta?
Allora, fammi riflettere due secondi gentilmente. Anzitutto sono grato alla mia famiglia in quanto mio padre e mia madre mi hanno sostenuto al massimo e sono contenti di questa mia inclinazione verso la poesia. In ogni caso non mi lasciano vivere nella dimensione del “poeta maledetto” ma cercano di stimolarmi anche in una direzione più pragmatica.
Hai dei nuovi progetti editoriali?
Si attualmente sto scrivendo un romanzo, che è quasi autobiografico. Parla di un signore anziano che ripercorre la sua vita. Si tratta di un romanzo redatto in netta contrapposizione agli standard di scrittura; lo stile prevede delle parti in prosa e delle altre in flusso di coscienza, una tecnica che ho ripreso da alcuni poeti inglesi e dall’irlandese James Joyce.
Si tratta di un signore anziano che ripercorre la sua vita ma considerando la tua età come può essere autobiografico?
Ti spiego, ho 22 anni ma credo fortemente che i miei pensieri non coincidano con l’età anagrafica, è come se fosse la proiezione della mia vita al futuro per ripercorrerla al passato.