Non è stato difficile notarli, grazie al loro colore acceso e alla numerosa presenza in alcune delle zone più frequentate della capitale. Da piazza di Spagna a piazza Bologna, passando per Navona e Testaccio, misteriosi portafogli fucsia sono stati lasciati in bella vista, suscitando curiosità e domande.
Al loro interno non c’erano soldi veri ma banconote rosa da 8,70 euro (false, certo, ma emblematiche) insieme a una lettera firmata da una certa Sara Fabrizi, una tessera della palestra, uno scontrino del supermercato che mette a confronto i prezzi di prodotti per uomini e donne, e un biglietto da visita del negozio immaginario “Prezzo Donna”. Un QR code, infine, rimanda a una pagina Instagram dove viene svelato il significato dell’intera operazione.
Dietro ai portafogli, infatti, non c’è uno scherzo né un gesto casuale, ma una precisa azione di sensibilizzazione. Si tratta della campagna “Prezzo Donna”, pensata per denunciare la “pink tax”: un sovrapprezzo che colpisce beni e servizi destinati alle donne. Una forma di discriminazione economica spesso ignorata ma che, secondo alcune stime, può arrivare a costare fino a 1.300 euro all’anno alle consumatrici.
L’iniziativa dei portafogli è solo l’ultima di una serie di azioni comunicative che stanno comparendo a Roma in questi giorni. Dalle cassette delle lettere spuntano pacchi regalo anonimi, mentre volantini provocatori – come quello con la frase “Vuoi vedere la mia ex nuda?” – portano, tramite QR code, a messaggi di riflessione contro il revenge porn.
Un modo diretto e creativo per portare all’attenzione del grande pubblico temi delicati e troppo spesso sottovalutati. E in una città come Roma, teatro ideale per lanciare messaggi forti, anche un semplice portafoglio può diventare una potente forma di denuncia sociale.
Articolo a cura di Francesca Giovannini