Parlare oggi di iconografia può risultare fuori tempo e fuori contesto. In una società impegnata freneticamente ad occupare ogni lasso di tempo della giornata, a ricercare spasmodicamente al di fuori di sé il senso, il significato ed il gusto della vita, l’icona impone il qui ed ora; pretende la presenza e la volontà di esserci, di sperimentarsi, di tendere al contatto con il sé profondo, di ascoltare il proprio sentire e il legame senza tempo con il divino.
L’icona è l’immagine dell’invisibile. È il messaggio dell’alleanza e della Comunione.
È il linguaggio di Dio, che si è fatto uomo perché lo potessimo vedere e rappresentare. È la parola che rende liberi. L’icona è teologia scritta, quand’anche di non immediata comprensione per il mondo occidentale dove la simbologia e il messaggio veicolato, si muovono per strade diverse.
L’antica parola greca eikon significa “effigie, immagine di forme o cose ottenuta per mezzo delle arti decorative, principalmente pittura e scultura”. È solo nel Medioevo che la parola acquisisce il significato specifico di raffigurazione di personaggi o scene sacre andando a individuare un ambito definito di rappresentazione.
Oggi, riportarla al suo significato puntuale richiede uno sforzo e un’attenzione nuova. Nella società multimediale e tecnologica in cui siamo calati, il termine icona ci rimanda immediatamente a ben altro, sicché il primo step da compiere è passare dal fuori al dentro, uscire dalla realtà contingente per entrare in sè stessi e provare a sperimentare la propria dimensione spirituale.
L’icona è movimento. È un viaggio, il proprio personale viaggio nel mondo dell’invisibile. È la ricerca personale interiore; è preghiera, meditazione, forza, protezione…è Vita ed è viva! È per questo motivo che in Oriente, nelle società di fede ortodossa, a ogni nascituro viene regalata un’icona, così come per tutte le tappe importanti della vita, perché lo accompagni e aiuti nel cammino.
Tutto nell’icona è simbologia: il supporto, i pigmenti, i materiali impiegati. Tutto è testimonianza della presenza di Dio e della meraviglia dell’universo. La scelta dei materiali attinge al mondo vegetale, minerale e animale. Simbolico è l’uso dei colori, simbolica la tavola di legno ingessata e l’impiego dell’oro. Simbolica, ancora, la prospettiva e la costruzione del disegno; simbolico lo spazio e il tempo.
In questa chiave l’icona è l’opportunità di un’esperienza da vivere per ritrovare sè stessi.
Nella quiete, nella lentezza e nella pazienza, ingredienti necessari perché si scriva un’icona, – insomma, nel qui ed ora – ci si accorge con stupore che il pennello plasma anche l’anima di chi la dipinge regalandole un sentimento di armonia e di riconciliazione.
È una via che si fa strada dentro e fuori dell’autore in un dialogo spirituale profondo e unico che si rinnova ad ogni incontro.
Con il desiderio di rendere attuale questa pratica antica di arte e di preghiera, per anni prerogativa dei monaci ortodossi, inizia il 4 febbraio prossimo con incontri a cadenza mensile, il “Laboratorio di Pittura Iconografica” presso la cascina San Feliciano dei Ricostruttori di Zagarolo, pensato nello spirito comunitario di condivisione e crescita.
Catia Pepe