Le ultime scoperte, provenienti da un team di ricerca dell’Università del Michigan, infondono grande speranza sul contrasto di una malattia cronica sempre più diffusa, l’obesità, che negli Stati Uniti e in tutta Europa si sta diffondendo rapidamente con forti ricadute per la salute pubblica.
Gli esperimenti hanno dimostrato che, manipolando il rapporto fra due specifiche proteine presenti nel cervello, è possibile migliorare fino a cinque volte i benefici dei nuovi farmaci contro l’obesità e ridurne al minimo gli effetti collaterali.
La semaglutide, il primo di questi farmaci, verrebbe notevolmente agevolata nel rallentare lo svuotamento gastrico, un’azione che aumenta il senso di sazietà, con la riduzione dell’effetto collaterale della nausea che, già di per sé, pur essendo comune comporta molto raramente l’interruzione dei trattamenti.
La tirzepatide, invece, è il secondo farmaco destinato a migliorare le sue prestazioni, e agisce sugli stessi recettori enterici su cui agisce la semaglutide (GLP-1). Entrambi i farmaci hanno la peculiarità di stimolare il rilascio dell’insulina imitando un particolare ormone che l’intestino produce quando siamo sazi.
Il team guidato dall’Università del Michigan ha collaborato con i colleghi della società Courage Therapeutics di Newton e del Dipartimento di Fisiologia Molecolare e Integrativa dell’Università dell’Illinois. Gli esperimenti si sono incentrati su due proteine presenti nei neuroni, la melanocortina 3 (MC3R) e la melanocortina 4 (MC4R), entrambe coinvolte nella regolazione dell’appetito proprio come i farmaci a base di semaglutide e di tirzepatide. Da questa consapevolezza arrivò la domanda degli scienziati, che è stata alla base dell’esperimento, sul come l’attivazione del sistema della melanocortina avrebbe influenzato i farmaci.
Per l’esperimento, sono stati analizzati gruppi di topi
- Geneticamente modificati al fine di non produrre la melanocortina 3
- Trattati con farmaci che hanno inibito la melanocortina
- Trattati con farmaci che hanno potenziato la melanocortina 4
In tutti e tre i casi è stato dimostrato che, regolare il sistema delle melanocortine, e più precisamente inibire MCR3 o aumentare l’attività di MCR4, rendeva i topi geneticamente modificati più sensibili ai farmaci GLP-1 rispetto ai topi normali, con la conseguenza di una perdita di peso e una riduzione dell’alimentazione fino a cinque volte maggiore rispetto ai topi che hanno ricevuto solo i farmaci GLP-1.
Durante l’esperimento i ricercatori hanno anche misurato l’attività in regioni del cervello che si pensa possano scatenare nausea in risposta ai farmaci GLP-1. Con grande sorpresa, non è stato riscontrato alcun aumento nell’attivazione di queste regioni quando la semaglutide o la tirzepatide sono state combinate con le alterazioni della melanocortina.
Roger D. Cone, che ha coordinato i ricercatori durante tutto il processo, è molto ottimista sul fatto che gli stessi risultati saranno riscontrabili nell’uomo. La sua esperienza testimonia come, negli ultimi decenni, ciò che è stato osservato nei topi studiando queste proteine è stato riscontrato anche nell’uomo. Ulteriori ricerche stimolanti, che verranno effettuate nel campo, serviranno a stabilire se gli umani potranno avere accesso a tutti i benefici ottenuti dai roditori e soddisfare le grandi aspettative del professor Cone
Articolo a cura di Mattia Parravano